Per noi sono vere e importanti testimonianze per dare speranza a chi si trova nella stessa situazione, ma non ci assumiamo la responsabilità di quanto da altri affermato)
Testimonianze di guarigioni è la sezione del sito che raccoglie
testimonianze di coloro che sono guariti da lievi o gravi malattie. In questo
caso vengono raccolte alcune testimonianze di guarigione dalla sclerosi.
Le testimonianze di guarigione riguardano le più svariate terapie e le più
diverse cure che sono risultate efficaci nei confronti di diverse malattie.
Saranno le stesse persone guarite, o chi per loro, a raccontare la loro
esperienza di guarigione: non interessa quindi, se si è raggiunta la
guarigione grazie alla medicina "ufficiale" o grazie alla medicina
"alternativa" ma piuttosto la testimonianza concreta di quali sostanze
naturali, medicine, letture, preghiere, meditazione, e terapie varie in
genere, abbiano portato alla guarigione da una malattia, anche grave, o
abbiano risolto fastidi e problemi anche di lieve entità.
Testimonianze di guarigione: ( condividete con noi la vostra testimonianza di guarigione: email )
GURIRE DALLA DEPRESSIONE CON LA CURA DELLA HUMANIVERSITY, SENZA L’ USO DI FARMACI ANTIDEPRESSIVI
S.D., 43 anni di origine indiana, negli anni ’90 ha sofferto di una grave forma depressiva.
Piccoli problemi di carattere finanziario e lavorativo e difficoltà a continuare una relazione sentimentale lo hanno portato a perdere fiducia in sé, nella vita e ad avere pensieri negativi.
Non era nuovo agli stati depressivi poiché ne soffriva in maniera lieve, fino dal periodo post-adolescianziale.
Negli anni ’90 incontrò il fondatore della Humaniversity; la Humaniversity nasce alla fine degli anni ’70 come comunità terapeutica per il recupero e la riabilitazione di persone con problemi di tossicodipendenza, dato che Veeresh D. Yuson Sanchez, il fondatore, ebbe lo stesso tipo di problema e venne riabilitato con successo dopo un lungo e intenso programma di recupero e rieducazione nel centro di Phoenix House a New York.
La Humaniversity si aprì presto a ricevere anche persone che non avevano la problematica della tossicodipendenza, e ora è un centro internazionale per terapia di gruppo, crescita personale e formazione di terapisti. Il lavoro terapeutico di Humaniversity è il culmine della carriera professionale di Veeresh e della sula ricerca spirituale. La Terapia Humaniversity è una sintesi olistica della psicoterapia occidentale e dell’approccio orientale alla meditazione. Nel 1996 la Humaniversity è diventata una Università per formare studenti e professionisti nell’arte di lavorare con la gente. La Humaniversity è conosciuta anche come “L’Università dell’Amicizia”
Per S.D. è l’inizio di un’ esperienza unica poiché gli permise di sentirsi una persona “normale”: finalmente riusciva a gestire le emozioni.
La vita al Humaniversity è decisamente strutturata e questa e' stata la chiave per ricreare una struttura dentro di S.D.: alzarsi al mattino presto, meditare, mangiare, lavorare, pausa, lavorare, partecipare a una sessione, mangiare, condivisione verbale...oltre a tutte queste attività, i rapporti umani alla Humaniversity sono molto profondi. Nella filosofia Humaniversity la causa principale dei problemi umani è la separazione e l’isolamento emozionale. L’amore e l’amicizia sono elementi importanti nel processo di guarigione. L’amicizia autentica è vista come lo scopo più alto che un essere umano può raggiungere nella società.
Tutto questo a fatto sì che il corpo di S.D. reagisce agli stimoli molto velocemente: in breve si è disintossicato e piano piano anche la mente riprese il giusto dinamismo.
GUARIGIONE DA SINDROME BIPOLARE
LA MIA STORIA
Tutto è scoppiato nel Novembre 1999. E’ piombata dal cielo, improvvisamente per
tutti, la mia sindrome bipolare. Dicevo di sentire delle voci e mi comportavo
facendo ciò che le voci mi dicevano di fare, sono arrivato fino a credere di
aver sentito la Madonna e a credere di essere figlio di Dio ritornato sulla
terra. Avvenne così il mio primo ricovero nel novembre 1999. Cominciai così il
mio calvario…. Nei primi mesi del 2000 avevo capito che parlare delle mie voci e
dei miei pensieri era del tutto inutile e tempo sprecato, perchè tanto nessuno
mi ascoltava e mi dicevano “lascia perdere”, lo psichiatra mi diceva “io non la
penso così” e cercava di impormi i suoi pensieri e le sue ragioni. A quel punto
decisi di dare a tutti ragione perchè non mi rompessero le scatole, anche se in
realtà ci rimuginavo sempre. Sicuramente per me gli altri non avevano ragione,
ma tanto credevo che loro non potevano capire … Ero stato talmente bravo a
fingere che lo psichiatra mi aveva perfino tolto le cure, dicendomi che era
stato un periodo di burrasca. Da li a poco tempo avvenne la morte di mio padre
e, neanche a dirlo, ebbi un altro crollo finendo nuovamente ricoverato in
psichiatria per un paio di settimane. Poi, uscito dall’ospedale, cominciai a
cercare di fingere di star bene perchè così, credevo, mi avrebbero ritolto i
farmaci. Ma, a distanza di 2/3 mesi, ebbi un altro collo e ritornai ad essere
ricoverato in psichiatria per altre 2 settimane. In quelle due settimane, non so
cosa mi sia successo, una sera sono andato a dormire e la mattina mi sono
svegliato rendendomi conto che c’era qualcosa che non andava … Era come aver
vissuto abitualmente nel caos e, all’improvviso, renderti conto che attorno a te
regnava il caos. Questa volta però era nella mia mente il caos. …. Da lì capii
che dovevo ricominciare a fare ordine nella mia mente… Da lì cominciai a perdere
tutti gli amici, tranne i migliori (che li conto su una mano), sul lavoro non
ero più capace di rendere, a causa delle cure farmacologiche, e sembravo un
fannullone nonostante l’impegno che ci mettessi, a causa della malattia persi la
fiducia di chi mi circondava ed infine anche la mia ex fidanzata. Capii però che
dovevo dire le cose per come realmente erano altrimenti, a fingere di star bene,
ero solo io a rimetterci…
Dopo qualche mese conobbi un’altra ragazza e ci mettemmo assieme. Ma la storia
fu molto breve perché, dopo qualche mese, ebbi un altro ricovero e fu così che,
per colpa del mio ricovero, finì anche la nostra storia.
Essere lasciati perchè hai una malattia che non è una cosa che dipende dalla tua
volontà. Vi posso dire che è una delle cose peggiori che fin ora ho provato.
Nel mio dolore e nella mia sofferenza per fortuna avevo al mio fianco delle
persone che mi volevano bene: la famiglia, i parenti e gli amici rimasti.
Trovai allora la forza per andare avanti e per continuare nella mia lotta contro
la malattia senza mollare.
Cominciai lentamente a studiarmi e a voler capire cosa mi accadesse quando
andavo in crisi e perchè andavo in crisi. Nessun psichiatra me lo aveva mai
spiegato.
Al massimo mi dicevano che nel mio cervello si formavano delle cellule negative
che mi mandavano in crisi. Ma io, alla fine, rimanevo al punto di partenza
perchè era come non avermi dato nessuna spiegazione. In pratica non mi avevano
spiegato nulla.
Intanto cercavo di andare avanti con le zavorre (i farmaci).
Le persone che mi circondavano stentavano a capire che la mia lentezza era
causata dalle cure farmacologiche e non capendo questo, a volte, me lo facevano
pesare. Ma credo che se fossi stato al loro posto avrei fatto la stessa cosa
anch’io: per chi non conosce nulla dei farmaci e della malattia sembra quasi
impossibile credere che un farmaco possa renderti così impedito.
Nel tempo libero cercavo di stare in mezzo alla gente, frequentando un locale
della zona, anche se il problema si faceva sentire e, nella solitudine, il
pensiero era sempre al lavoro.
Cercai così di provare a fare un qualcosa di diverso e iniziai ad andare al
Centro Benessere e a fare dei corsi di ballo: dovevo cercare di non rimanere
solo.
Arrivò così il 19 marzo 2004, giorno della festa del papà, e, nel locale della
zona dove andavo abitualmente, conobbi Maria e fu un colpo di fulmine a ciel
sereno per entrambi.
In seguito gli raccontai del mio problema e la mia situazione, lei apprezzò la
mia sincerità e mi disse “voglio provare a stare al tuo fianco e ad aiutarti. Ma
non ti assicuro che riesca a farlo”. Gli raccontai del mio passato e lei, dentro
di lei, diceva “vorrei mostrargli che se stesse male ed andasse in crisi anch’io
gli starei vicino”. Neanche farlo a posta lo psichiatra mi aveva detto di
prendere solo il Depakin lo stabilizzante d’umore, ed io gli dissi ma il
Risperdal (il neurolettico ) non serve? E lui mi disse: no, è sufficiente lo
stabilizzante perchè ora sei solido. Io gli risposi: ma guardi che una primavera
senza l’aiuto del neurolettico non sono mai riuscito a superarla; quando non
prendevo i neurolettici, in primavera, mi è sempre venuta una crisi. Lui mi
rispose di stare tranquillo.
Arrivò il mese di giugno 2004 e io incominciai a notare i sintomi della crisi:
non dormivo la notte, il mio pensiero era fisso su un argomento, giorno e notte.
Nello stesso tempo mi dicevo “dovrei prendermi un neurolettico”, ma poi mi
rispondevo “lo psichiatra mi ha detto che è sufficiente lo stabilizzatore,
quindi non dovrei andare in crisi”. Poi è meglio che non lo prenda, mi sono
detto, altrimenti gli altri si preoccupano perchè sto male, e io non devo star
male quindi è meglio che non dica niente a nessuno e non prenda altri farmaci
oltre allo stabilizzatore … e sapete qual è stato il risultato di tutto questo?
Un altro bel ricovero di 15 giorni in psichiatria, un bel risultato! …
Mia moglie ebbe così la possibilità di vedermi in crisi.
Durante il ricovero ospedaliero, nel riflettere e osservare gli altri, capii che
parlare non serviva a nulla: dovevo riuscire a far vedere ciò che pensavo,
perchè sono tutti come San Tommaso: o vedono o non mi credono.
A quel punto dissi che avevo capito gli altri e sapevo come aiutarli e mia
moglie mi rispose “ma cosa vuoi aiutare gli altri, guardati te! prima cerca di
star bene te e non venir più in ospedale e poi puoi aiutare gli altri, ma fin
che non stai bene te, e finisci in ospedale, non puoi essere in grado di aiutare
nessuno!”.
Questa sua frase mi fece molto riflettere dovetti ammettere che aveva ragione:
dovevo guardare me e star bene.
Mi dimisero dall’ospedale e quando fui a casa, come sempre, mia madre mi dava i
farmaci prescritti e controllava che li prendessi.
Allora mia moglie incominciò a svegliarmi e mi disse: ma sei capace di prenderli
da solo i farmaci? Impara ad arrangiarti!
In effetti aveva ragione: per colpa della paura di mia madre mi era sempre stato
impedito di prendere da solo i farmaci.
Allora impuntai i piedi e dissi a mia madre che mi sarei arrangiato a prendere i
farmaci e che non volevo che lei mi controllasse più. Cercava di controllarmi
indirettamente, attraverso mia moglie (dico sempre mia moglie, ma allora non
eravamo sposati..).
Questo fu il primo aiuto che gli altri non mi avevano mai dato e cioè darmi
fiducia e responsabilizzarmi.
Dopo un pò di tempo, però, mi sono detto: non posso continuare così, se continuo
così va finire che perdo anche lei come le altre. Però non posso buttare i
farmaci altrimenti domani sono ricoverato in psichiatria. Ma non posso nemmeno
continuare in questo modo con i farmaci!
Allora ho iniziato a valutare la mia situazione e sono arrivato a capire che non
avevo nulla da perdere perchè, mal che andasse, avrei perso Maria e quindici
giorni di ospedale. Cosa che se, continuavo così, sarebbe ugualmente accaduta
vista l’esperienza precedente.
Non sapevo più dove sbattere la testa, non volevo si tornasse a distruggere
nuovamente tutto per colpa della malattia, non volevo perdere Maria e rivivere
l’inferno del passato.
Allora, mi sono detto, devo basarmi su dei dati certi, concreti e capire perché,
alla fine, la malattia vince sempre: non gliela dovevo più dar vinta.
Di certo sapevo che l’aumento di tensione mi scatena le allucinazioni e
l’aumento di tensione scatena le allucinazioni. Io lavoro come elettricista
quindi ho cominciato a confrontarmi con questo concetto. Ho considerato un
motore elettrico e ho aumentato la tensione, visto che l’aumento di tensione
scatena le allucinazioni, e cosa è accaduto? il motore gira più velocemente ma
poi gli avvolgimenti del motore si surriscaldano e si bruciano. Ho provato
allora a ridurre la tensione, visto che nel mondo della depressione abbiamo
scarsa energia e non abbiamo voglia di far nulla e vediamo il mondo nero, e cosa
è successo? … abbassando la tensione il motore elettrico gira ugualmente ma fa
più fatica. E cosa succede facendo fatica? va sotto sforzo e, se ci rimane
troppo a lungo, si surriscaldano gli avvolgimenti e si brucia.
A quel punto mi si è accesa una lampadina e mi sono detto: cavoli!, il motore
con l’aumento di tensione o con il calo di tensione si brucia allo stesso modo!
Allora mi sono detto: se il mio corpo funziona con gli impulsi elettrici, sia
nel mio stato depressivo sia nel mio stato euforico, deve esserci un punto in
comunione!
Ho iniziato ad analizzare i miei stati depressivi ed euforici, confrontandoli, e
il punto uguale dove la mia mente mi manda in crisi l’ho trovato. Nello stato
depressivo vedo tutto ciò che mi circonda in modo negativo, entrando così in un
mondo nero. Nello stato euforico vedo tutto ciò che mi circonda in modo solo
positivo e senza problemi, entrando così nello stato eccessivamente euforico.
Quindi il punto in comune, in entrambe le situazioni, è il cambio
d’interpretazione della realtà.
E’ come quando facciamo un movimento col braccio destro davanti allo specchio:
io muovo il braccio destro e lui fa lo stesso movimento nel senso opposto: lo
specchio, il movimento, lo fa identico ma col braccio sinistro. Così è il cambio
della mia visione della realtà nel mondo euforico e depressivo: il movimento non
cambia. Tutto ciò che mi circonda mi riguarda e ne sono partecipe: nel mondo
depressivo ho tutti contro, nel mondo euforico sono un figlio di Dio e credo di
poter riuscire a fare i miracoli.
Dopo questi ragionamenti finalmente ero riuscito a farmi un idea di ciò che mi
accadde quando vado in crisi, cosa che molte volte avevo chiesto e mai nessuno
era riuscito o non aveva mai voluto spiegarmi.
A quel punto quando ho incontrato il mio psichiatra gli ho detto “ma sai che la
mia prima crisi che ho avuto nel 1999 e quest’ultima del 2004 sono uguali?”. Lui
mi guardò con aria perplessa come per dire: ma che cavolo dici? Io gli dissi:
sì, sono identiche perchè nella crisi del 1999, andando a messa, percepivo le
parole del parroco come se io dovessi fare le cose che aveva fatto Gesù,
nell’ultima crisi percepivo le parole di una trasmissione radiofonica come se
stessero parlando del mio caso in radio. Ma in realtà non era così. Cambia il
soggetto in questione. Dite che questa è una crisi più leggera rispetto alla
prima, ma alla prima non avevo esperienza e mi è piovuta dal cielo e quindi ho
impiegato 3 anni per rendermene conto, nell’ultima ho un’esperienza alle spalle
e, quando ha fatto effetto la cura farmacologica, ho capito di essere stato in
crisi e che ciò che ho sentito è stato un fraintendimento del dialogo
radiofonico e quindi in breve tempo mi sono rimesso in riga.
Quindi cambiano i soggetti, i tempi dalla prima all’ultima. Ma non il gioco che
la mia mente ha fatto per farmi ricadere.
Era rimasto senza parole.
A quel punto capito il gioco che fa la malattia con me. Ho provato anch’io a
giocare con lei per cercare di vivere meglio e star bene.
Cominciai, all’insaputa di tutti tranne che di Maria, a gestire da solo i miei
farmaci in base a come mi sentivo.
Cominciai a diminuirli molto lentamente fino a rimanerne senza. La mia normalità
durò qualche mese senza farmaci e poi i sintomi della malattia ricominciarono a
riattacarmi.
Cominciai con il fissarmi con un pensiero fisso, a perdere la concentrazione nel
lavoro, a non dormire più la notte e a fraintendere i messaggi di ciò che mi
circondava ma, vista l’esperienza negativa avuta e la conoscenza che avevo
scoperto sulla mia malattia analizzandomi, corsi subito ai ripari assumendo di
nuovo la terapia per qualche giorno, fino a che i miei sintomi ritornarono a
scomparire. Una volta passato l’attacco della malattia, ritornai a ridiminuire i
miei farmaci e a camminare nuovamente da solo, senza l’aiuto dei farmaci.
Nessuna persona che mi circondava aveva notato nulla, tranne Maria che sapeva
tutti i miei movimenti ma non diceva nulla a nessuno perchè aveva fiducia in me
e credeva che ci potevo riuscire.
Ci fu un periodo in cui il mio caposquadra si ammalò e il mio datore di lavoro
si trovò costretto a farmi assumere, temporaneamente, il suo posto di
caposquadra. Mi trovai sotto stress e tensione e, neanche a dirlo, i sintomi
ritornarono a riaffiorare. A quel punto ritornai a riassumere i farmaci e
strinsi i denti: ce la dovevo fare a gestire la situazione lavorativa senza
crollare. Era come vedere la crisi da un vetro, mi bastava sbagliare una mossa e
sarei rimasto fregato un altra volta. Ma, per fortuna, questa volta la malattia
non la ebbe vinta, riuscii a portare avanti il lavoro anche con i farmaci da me
gestiti in base a come stavo fino al rientro del mio collega. Per me fu un primo
passo e, anche se ho dovuto stringere i denti, fu una grande soddisfazione. Poi
come sempre, passati i sintomi della crisi, sospesi i farmaci.
Andai avanti così per circa un anno e, quando ebbi la sicurezza che la cosa
poteva funzionare visti i primi risultati, decisi di renderlo noto.
Lo comunicai a mia madre, allo psichiatra ed al mio medico condotto di allora.
Mia madre non s’intromise molto, fu presa dal panico, ma vista la mia stabilità
non potè dire più di tanto. Gli psichiatri non mi credevano allora, visto che
tra Depakin e Haldol avevo a casa 50 scatole di farmaci prescritti e non usati,
30 scatole pensai di riconsegnarle indietro così, dopo essergli usciti gli occhi
dalla testa alla vista dei farmaci, loro malgrado, dovettero prendere coscienza
della situazione e andarono nel caos in quanto significava non avere più in mano
il controllo della mia situazione. Il mio medico condotto mi consigliò di
provare a fare 2 chiacchiere con una psicologa, ma, come cominciò ad ascoltarmi,
scappò. Il primo giorno ci siamo presentati, il secondo incontro ho cominciato a
raccontargli che, quando stavo male, ero perseguitato dal demonio perchè
fraintendevo la realtà che mi circondava. La sera chiamò disperata il mio medico
condotto e la psichiatra del centro che frequentavo dicendo che lei non era in
grado di seguirmi. Il terzo incontro mi salutò.
A quel punto decise di prendere in mano la situazione il mio ex medico condotto,
fuori dai suoi orari di lavoro, vedendomi ogni 2 settimane.
Avendo capito che la malattia mi fregava facendomi fraintendere la realtà decisi
che quando mia moglie aveva la possibilità di accompagnarmi agli incontri con
gli psichiatri entrasse con me in ambulatorio per evitare fraintendimenti e
poter essere sicuro che i messaggi degli psichiatri li percepissi in modo
corretto e loro percepissero in modo corretto le cose che volevo comunicare a
loro. Come interpretavo scorrettamente la realtà, rischiavo anche spesso di
trasmettere un messaggio in modo errato, non esponendolo in modo corretto
rischiavo che chi avevo di fronte mi fraintendesse.
Il risultato: all’inizio lo psichiatra disse a Maria “puoi essere un ottima
collaboratrice”, successivamente “mi stai rubando il lavoro”, infine non la
volevano più vedere in ambulatorio con me perché, con un testimone al mio fianco
che non si faceva influenzare da loro, non erano in grado di gestire la
situazione e rigirarmi le cose come quando ero solo in ambulatorio.
La psichiatra del centro che frequentavo mi disse che il mio posto era dentro le
quattro mura dell’ambulatorio e non dovevo andare in giro da una parte
all’altra. Ma io le risposi che avevo la libertà di andare dove voglio e che,
sicuramente, se mi va di raccontare la mia storia a qualcuno lo posso
tranquillamente fare senza il suo consenso. A quel punto abbassò le orecchie e
stette zitta.
Il mio ex medico condotto invece mi prese subito in considerazione, mi ha visto
dal primo giorno che sono andato in crisi a tutt’ora. Cominciai con raccontagli
che mi ricordavo perfettamente il giorno del primo ricovero, le parole che mi
aveva detto lui e chi mi circondava e che di tutto mi avevano detto tranne che
mi avrebbero ricoverato in psichiatria. Lui restò molto stupito perché, pur
essendo in uno stato confusionale, mi ricordavo perfettamente ciò che era
accaduto e restò sorpreso della mia memoria.
Mia moglie, quando poteva, era sempre presente. Cominciò a pormi domande che mi
facevano riflettere e mi facevano cercare delle risposte concrete sui miei
comportamenti. Per esempio mi chiese: “ti ricordi che mi dicevi di essere un
figlio di Dio. Perchè credevi di essere figlio di Dio?”. Non potevo mica
rispondere perchè ho sentito la Madonna ed ho una missione da portare a termine,
come avrei risposto quando stavo male! Mi presi tempo per riflettere ed
analizzare la situazione.
La volta successiva le dissi “ora sono in grado di spiegarti perchè dicevo così.
Quando stavo male, per via della mia sofferenza, mi sono buttato nella religione
perchè riuscivo a trovare molte risposte alle mie domande. Poi, che le risposte
fossero reali o no, non aveva importanza: trovare una risposta significava
soffrire di meno. Giusto o sbagliato che fosse sul piano psicologico. La
religione, piano piano, si trasformò così in un ossessione che mi portò a
interpretare scorrettamente il modo di percepire la realtà. A ciò che leggevo, a
ciò che sentivo a messa o a ciò che dicevano le persone che mi circondavano, non
ero più in grado di darne il senso corretto. Mi vedevo sempre partecipe, credevo
che tutto ciò che dicevano o leggevo non era Gesù, il figlio di Dio, che aveva
detto e fatto, ma lo percepivo come se dovevo dirlo o farlo io. Diventai così un
figlio di Dio, ricoverato in psichiatria.
Ne restò molto meravigliata.
Allora, mi chiese, e la Madonna come hai fatto a sentirla?
Anche qua dovetti analizzare parecchio la mia situazione e, dopo una lunga
ricerca dentro me stesso, arrivai a capire pure come avevo fatto a sentire la
Madonna e vari miei defunti cari.
Le voci che sentivo, in realtà, non erano altro che le risposte ai miei
ragionamenti. Ora vi spiego come facevo a sentire le voci: tutte le persone,
quando hanno un aumento di tensione dovuto ad un grosso problema, a una grossa
preoccupazione, cosa fanno quando sono sole? Valutano la situazione ponendosi
delle domande e dandosi delle risposte sane o malate che siano. E’ vero che non
c’è più sordo di chi non vuol sentire ma il male lo sentono anche i sordi,
quindi non si sentono solo le voci tramite le orecchie ma si possono sentire
tutte le sensazioni. La differenza tra il sano ed il malato, in questo caso, è
che il sano nel valutare la situazione è cosciente che sta valutando e parlando
tra sè e sè nella solitudine; il malato invece fa la stessa cosa ma, invece che
parlare e valutare la cosa tra sè e sé, è convinto di valutare le situazioni tra
sè e colui che in quel momento è nel suo pensiero, associa le risposte che dà il
proprio ragionamento alla voce della persona che stà nel suo pensiero. A quel
punto posso arrivare al punto di dire che ho sentito la Madonna o qualche mio
caro defunto.
Decisi così di chiudere i rapporti col mio psichiatra che mi seguiva
privatamente e tenere solo i rapporti col centro in cui andavo. A quel punto,
visto che non aveva altra soluzione, la psichiatra mi disse ok, fai come credi,
ma tienimi informata di ciò che fai, se prendi più o meno farmaci, se li prendi
o non li prendi e perchè. Io accettai, a ogni incontro raccontavo nei minimi
dettagli ciò che avevo fatto con le terapie. Dopo qualche incontro dove io stavo
là a raccontare tutto nei minimi dettagli in modo serio e puntiglioso, andai a
un incontro e, mentre stavo in sala d’attesa, arrivò la mia psichiatra e mi
chiese: ”cosa fai tu qua?”. Io dissi: “come cosa faccio qua? Ho l’appuntamento
con lei!”. Fortunatamente con me era presente Maria, altrimenti non mi avrebbe
creduto nessuno se raccontavo una cosa del genere. Lei mi rispose: “a me non
risulta proprio, comunque, già che sei qua, quando ho finito con chi ha
l’appuntamento ti vedo”. Io non avevo con me il biglietto dell’ appuntamento per
contestarla, quindi mi venne il dubbio di non aver sbagliato giorno, anche se
ciò non era mai accaduto. Non mi restò altro da fare che ringraziarla del favore
di vedermi.
Appena andai a casa verificai il biglietto dell’appuntamento ed era giusto come
avevo detto io: avevo l’appuntamento! A quel punto vi lascio immaginare quanto
mi sono arrabbiato e l’aumento di tensione che mi venne addosso. Cominciarono a
ritornarmi i sintomi delle crisi e dovetti così aumentare subito la dose dei
farmaci. La mattina seguente chiamai il mio ex medico condotto e gli raccontai
l’accaduto. Mi disse di andare subito da lui, vide così che, se pur ero in un
inizio di crisi, avevo avuto la lucidità di prendermi i farmaci e mi rendevo
conto della situazione. Gli dissi che però volevo fare come da prassi, per
mostrare agli psichiatri che mi seguivano che mi facevano più male che bene,
facendo vedere loro i risultati dei loro comportamenti. Lui mi accontentò e mi
mandò al pronto soccorso, se era come tutte le altre volte poi mi ricoveravano.
Andai al pronto soccorso e quando mi trovai davanti alla psichiatra di turno le
raccontai tutto ciò che era successo e mostrai anche a lei che, pur essendo in
preda ad una crisi, pur essendo finito al pronto soccorso, avevo la lucidità
dello stato in cui ero e le dimostrai che se non fossi stato in grado di
rendermi conto da solo che dovevo assumere i farmaci e prenderli, non sarei
stato in grado di mantenere la lucidità ed andare al pronto soccorso con i
farmaci in tasca. La psichiatra non sapeva più cosa fare e mi disse che se ciò
che dicevo fosse stato vero, loro potevano chiudere baracca e burattini. Allora
io le feci l’esempio di quando sono uscite le macchine fotografiche digitali,
che tutti i fotografi sconsigliavano perchè non andava bene per varie
motivazioni. Ma mi sa che ora si sa che la digitale non va poi così male, tanto
che la usano quasi tutti e molti fotografi hanno dovuto chiudere il negozio
perchè non vendono più rullini e stampano molte meno foto. A quel punto le dissi
che credevo di non aver più bisogno di loro in quanto, nella mia esperienza, gli
psichiatri sono stati solo in grado di dirmi di prendere una pastiglia in più o
in meno, in base a come dicevo di stare. Quindi, se mi accorgo dei sintomi e vi
devo chiamare per dirvi che non sto bene, so già da me la vostra risposta: una
pastiglia in più o in meno in base a ciò che vi dico. Se mi rendo conto (e non
son scemo) mi posso arrangiare da solo. Se invece, come dite voi, un paziente
non può essere in grado di capire quando va in crisi, come faccio io a chiamarvi
e dirvi che non sto bene se non mi rendo conto? A quel punto io non posso venire
da voi, mi ci porterà eventualmente chi mi sta al fianco, quindi, al momento,
non mi servite più. La psichiatra a quel punto non seppe più che dire e che
fare, provò a dire “io ti consiglio di ….”. Ma io le risposi che dei loro
consigli non mi fido più, visti i risultati che loro hanno ottenuto con me. A
quel punto ritornai dal mio medico e gli mostrai che non erano stati in grado di
ricoverarmi questa volta perchè ero riuscito a mantenere calma e lucidità in un
attacco di crisi.
Il mio medico rimase molto meravigliato e nello stesso tempo soddisfatto. In
quei giorni mi chiamava tutti i giorni la sera dopo cena, per sentire come stavo
e com’era andata la giornata. Da lì cominciò un rapporto di amicizia più che un
rapporto medico paziente. Una volta che mi fui ristabilito, riprendemmo i nostri
incontri mediamente ogni due settimane. Assieme a lui continuai a lavorare su me
stesso e, piano piano, cominciò assieme a mia moglie a insegnarmi a guardare
avanti, perchè la malattia mi faceva guardare solo nel passato. Piano piano
arrivai così ad imparare, grazie all’aiuto di mia moglie e del medico, a
imparare a guardare avanti imparando a considerare anche gli altri per ciò che
in realtà sono e non invece per ciò che faceva comodo alla malattia.
Riuscendo così a modificare il mio modo di percepire la realtà si aggiustarono
molti miei comportamenti, dal 2004 ad oggi, 2012, ho evitato i ricoveri che
mediamente facevo una volta all’anno, sono riuscito piano piano a riconquistare
la fiducia di chi mi circonda passando, al lavoro, dalla persona che per colpa
delle cure farmacologiche non riusciva a rendere a ricoprire un ruolo di
caposquadra, dalla persona che per colpa della malattia perdeva sempre le
ragazze ora sono riuscito a sposarmi e diventare padre conducendo una vita come
i sani, con i miei alti e bassi, camminando da solo senza l’aiuto farmacologico
dal dicembre 2007 a tutt’ora 2012. Ciò non significa che non avrò mai più
bisogno dell’aiuto dei farmaci, in un momento di debolezza mi potranno servire,
magari per un breve sostegno.
Ora ho voluto condividere la mia esperienza positiva sulla pagina facebook
“Sindrome Bipolare” e nei gruppi Disturbo Bipolare dove l’amico Claudio,
scomparso purtroppo qualche mese fa, mi aveva dato la possibilità di portare la
mia testimonianza raccontando la mia storia.
Per arrivare a raggiungere i miei risultati positivi ho dovuto lavorare molto su
me stesso, ed è stato un percorso lungo e faticoso. Ringrazio molto anche mia
moglie Maria, il mio medico Giovanni, parenti ed amici che mi hanno sostenuto ed
hanno creduto in me dal 1999 ad oggi. I miei progressi positivi sono avvenuti
per merito mio, ma anche per merito loro.
GRAZIE Daniele.